
Alveare che dice sì
11 apr 2018
Continuano le interviste alle aziende innovative ed ecco a voi (prendete un respiro lungo) Alveare che dice sì, nome un po' misterioso che procediamo, senza indugio alcuno, a visitare nella sede dell'I3P di Torino. Ma il viaggio non è statico come potreste pensare: Simona, la nostra guida, ci porta da Torino in giro per l'Europa. Ma, prima di partire, cos'è questo "Alveare" e perché le icone di caricamento sono alimenti?

Cosa non è
«Api?» Non è un alveare vero, intanto: non ho visto api durante tutta la chiacchierata, il che per inciso mi ha evitato una figura barbina di corsa frenetica per la stanza. Le "api" semmai sono i produttori e consumatori di alimentari che si incontrano settimanalmente per ricreare l'atmosfera di un mercato, ma al chiuso.
«Ah, ma allora è un mercato!» No no, a meno che non siate abituati a ordinare su internet la spesa. Però Simona tiene a specificare che la transazione non dev'essere solo di merce, ma anche sociale: si crea una rete di conoscenze, anche grazie agli "alveritivi" (mi stanno già simpatici questi alveari) e a gite organizzate per visitare i produttori. In ciò si differenzia da altre realtà, come Cortilia, che invece propongono una consegna a domicilio: a seconda del servizio che si cerca, le possibilità sono ormai molteplici!
«Capito, è un G.A.S.!» Ancora no: i Gruppi di Acquisto Solidale, nati in Italia negli anni '90, propongono sì prodotti locali e stagionali, ma con una formula molto diversa, di stampo più spiccatamente solidale; come vedremo, l'ACDS (fatemi siglare) ha rivisitato in chiave maggiormente commerciale questa proposta. Inoltre, i GAS richiedono solitamente un impegno consistente da parte di tutti i membri, mi spiega Simona, mentre ci si può iscrivere a un alveare e acquistare prodotti anche saltuariamente.

Da dove viene, dove va
Dalla Francia, nientedimeno. Là La Ruche qui dit oui nasce una decina di anni fa; nel 2015 a Torino Mirafiori un ingegnere aerospaziale decide di ramificare anche in Italia questa rete; oggi questo ramo conta quasi 160 alveari, di cui più di 100 nel Settentrione. Nella mappa che vi includo potete vedere la situazione di Torino, molto ben servita. L'I3P ha avuto un ruolo in questo sviluppo: oltre al tutoraggio, ACDS ha deciso di affidarsi ai suoi spazi di coworking, in un clima che favorisce lo scambio di esperienze tra diverse startup.
La struttura dell'ACDS è tipica della gig economy: chiunque può decidere di aprire un alveare, impegno che prende una decina di ore settimanali, facendosi inizialmente guidare dal coordinatore d'area. Essendo tutto molto automatizzato, il suo impegno principale è quello di mantenere i contatti tra produttori e consumatori, tramite il sito; per poter aprire l'alveare, ACDS pone come requisito un numero sufficiente di utenti per entrambe le categorie, in modo da far partire il progetto al meglio. Tutto ciò, a differenza dei GAS già citati, comporta una remunerazione del gestore, in percentuale sulle transazioni; un'altra percentuale va ad ACDS; l'80% (un numero molto alto rispetto al normale, mi dice Simona) andrà al produttore.
I "fratelli maggiori" francesi forniscono uno strumento fondamentale per la gestione di questo macchinario, ovvero il sito internet. Come potete vedere da voi, visitando il sito di ACDS, dallo stesso sito si può accedere alle varie versioni locali (in vari Paesi europei). Avere una piattaforma così solida permette un'espansione più semplice e da ogni Paese arriva per il suo mantenimento un contributo proporzionale alle dimensioni della rete nazionale.
Se vi interessano maggiori dettagli tecnici, a questo link trovate tutto; oppure iscrivetevi: è gratis!

Perché preferirlo a
L'ACDS porta evidentemente con sé un bagaglio non solo di esperienze, ma anche di valori: Simona mi parla di «stagionalità come scelta politica» e i produttori sono selezionati conformemente a questa scelta. Le gite, di cui parlavo sopra, organizzate dall'ACDS hanno anche uno scopo didattico, in quanto permettono di vedere di persona cosa significhi fare agricoltura estensiva. Una conseguenza positiva di questa scelta arriva anche a tavola: la grande distribuzione trascura le varietà locali di frutta e verdura, mentre un produttore locale può dedicarvisi anche per una produzione in piccola scala. E conservare la biodiversità vale anche in agricoltura.
Anche la località è un requisito fondamentale: i prodotti devono arrivare da non più di 250km, anche se in pratica la maggior parte del rifornimento arriva da un raggio di 20-40km. Ci sono però saltuarie eccezioni, per prodotti provenienti da altre regioni e particolarmente richiesti: è stato il caso di arance da Ragusa, pomodori da Puglia e Basilicata (con Funky Tomato, un gruppo che sostiene la produzione etica) e olio dalla Puglia. Per favorire ulteriormente la località, vengono selezionati produttori che non siano in primo luogo rivenditori.
Ringrazio Simona per le informazioni e credo che farò io stesso una prova (quando si parla di cibo, poi...). Se l'articolo vi è piaciuto, ma anche se l'avete soltanto adorato, fatelo girare o scrivete eventuali commenti a: .
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